Il traduttore uno e trino:

cronaca non seria di un progetto con troppi referenti

Quello che segue è il racconto di un progetto creativo gestito a forza di psicologia e pubbliche relazioni (linguistica poca). La storia è leggermente arricchita, volutamente scherzosa ed emendata di alcune leggere volgarità dalle colleghe redattrici!

PROLOGO

Certe mattine iniziano con una bella telefonata. È un copywriter italiano con cui ho collaborato, mi dice: “Sto scrivendo per un gruppo di hotel di lusso, gli stanno per arrivare dei testi in inglese della loro agenzia pubblicitaria nel Regno Unito, ho consigliato te come traduttore creativo, ti contatterà il direttore marketing.”
È quel tipo di notizia che mette addosso sia eccitazione che timore, quindi interrompo all’istante quello che stavo facendo e volo giù alla pasticceria artigianale, perché io sono per la celebrazione anticipata e figlio di commercianti, quindi la pelle dell’orso si vende e si festeggia rigorosamente prima di averla.

L’INCARICO

Il direttore marketing mi chiama, 2-3 minuti di complimenti senza conoscermi (quindi sopravvalutandomi, quindi accumulo tensione), poi le spiegazioni: “Abbiamo un contratto con un’agenzia pubblicitaria americana, i testi li scrivono a Londra, ci serve una traduzione creativa che sia coerente al nostro stile interno, oltre che in linea con i testi che scrive la nostra agenzia italiana di web marketing.”

COSA PENSO

A) Questi vogliono farmi fare il trapezista
B) Chiudi i boccaporti Andrea, sta arrivando una tempesta
C) Meglio chiedere più soldi

I POTENZIALI PROBLEMI

Number One – Leggo, per prepararmi, i testi dell’agenzia italiana di web marketing e mi sento subito poco bene, ad esempio vedo che al centro della pagina troneggia uno “STREPITOSAMENTE”: come tutti sappiamo scrivere “STREPITOSAMENTE” tutto in maiuscole è del tutto in linea con il tono di voce suadente di un gruppo di resort esclusivi, praticamente un passaggio obbligato.
Number Two – Arrivano i primi testi dall’agenzia pubblicitaria del Regno Unito: saltano di palo in frasca, iniziano piano, poi parte una pacchiana italianità modello chitarra e mandolino, che lascia d’improvviso posto alla cultura, alla tradizione e al design. In pratica, ho davanti una specie di frullatone di concetti dove mancano solo Mastroianni e Sophia Loren che passeggiando e chiacchierando illustrano i pregi di questi resort e salvano la situazione con disinvoltura. E ora come faccio a riseparare ciò che è stato così forzatamente amalgamato?

I PRIMI PENSIERI

1) Spacco tutto, riscrivo tutto, cancello tutto, rifaccio tutto (delirio di onnipotenza).
2) Chiamo il copy che mi ha passato il contatto e gli chiedo: “Perché? Perché io? Tu, sapevi tutto, dillo!”. Se è incerto nel rispondermi gli manderò dritto un sicario (mi ha provocato lui).
3) Dai, iniziamo dalle piccole cose, proviamoci, sarà pur sempre esperienza (accettazione e realismo).
L’INIZIO DEL LAVORO
Inizio a tradurre i testi purgandoli dalle banalità più grosse e cercando una diamine di definizione di “Italianità”: è un lavoro complesso durante il quale devo anche scacciare Sophia Loren, in precedenza evocata, dai miei pensieri. Ma quella torna, che all’italianità ci tiene. Non è facile tradurre se sei un uomo e pensi a Sophia Loren. Ma torniamo a noi, mi concentro, inizio a tagliare chitarre e mandolini, cerco di andare leggero sui concetti come “ritrovare te stesso”, “riconnetterti”, “scoprire una nuova dimensione” e balle più o meno banali di simile tenore, elimino selvaggiamente un buon 50% di aggettivi e avverbi, inizio a lottare contro la parola “lusso” che dà un fantastico tono volgare ai testi e parlo di eleganza, scelgo frasi brevi e semplici. Taglio anche metà delle promesse, che suonano poco credibili (non è che tornerai dal viaggio con il bilancio del Karma improvvisamente tutto in positivo, non sei andato da un guru in India, stai solo pagando cifre spropositate per un diamine di resort per pochi dove se paghi ti daranno “tutto”).

I PRIMI CASINI

Alla prima riunione interna del cliente, il team legge quello che ho fatto e – come avviene da 888 anni a questa parte – inizia a chiedersi se il tono di voce sia appropriato per il loro brand e se sia adatto alla loro clientela target, in parole povere: se il mio “TU elegante” usato per la brochure funziona.
Perché si fanno le riunioni aziendali? Per scambiare idee? Sì, ma è un aspetto secondario. La riunione aziendale serve a far vedere che ci sei. Ed esserci, molte volte, significa offrire un parere diverso da quello degli altri, ossia: “io farei così anziché cosà, anche un po’ come dici tu ma non proprio”. In conclusione, in termini di linguistica salta fuori che:
1) Il mio tono di voce è giusto, ma forse un po’ troppo confidenziale, magari andrebbe rafforzato, però sono stato bravo perché mi sono tenuto sul semplice, ma forse avrei potuto osare di più, e infine: “Ma suoniamo abbastanza italiani? E c’è il rischio di non essere sufficientemente internazionali?”
[queste considerazioni sono la diretta conseguenza del fatto che ho amorevolmente ammorbidito il mix di pizza, mandolino, cultura, design, lusso]
2) I testi inglesi, è vero, erano troppo infarciti di cliché, ma nella versione italiana sono davvero molto concisi, l’agenzia britannica ha l’esclusiva per la pubblicità e noi gli stiamo cambiando tutto, potrebbe non apprezzare!
[questa in teoria è una preoccupazione di natura legale, ma all’atto pratico serve solo a peggiorare le cose in riunione]
3) L’agenzia italiana di web marketing dice, e lo dirà praticamente a ogni chiamata in conferenza, che i testi per loro non vanno bene, che non sono abbastanza diretti, né quelli originali inglesi né quelli tradotti.
[questo perché loro scrivono “strepitosamente” e io, si sa, strepito veramente poco]
4) Qualcuno del team interno chiude dicendo che in definitiva: “Bisogna capire [e mi chiedo: chi dovrebbe capirlo?] come mettere insieme i testi delle brochure, quelli web e le email di marketing, ognuno con il suo giusto tono di voce.”
[questo vuol dire che io devo creare un brodo primordiale che piaccia a tutti quelli a tavola]

IL CASO DEL DIRETTORE MARKETING

Dopo alcune chiamate in conferenza a cui partecipano qualcosa come 12 persone per volta, la situazione si delinea e questo è ciò che accade:
1) Il direttore marketing per ora non riesce a gestire sempre al meglio i suoi referenti (agenzia britannica, team aziendale interno, agenzia di web marketing), ognuno ha idee diverse sull’approccio linguistico, lo mettono sotto pressione e non c’è il capo dei capi.
2) Il direttore marketing mi telefona, mi chiede di confrontarci, mi parla del TU elegante, del LEI non troppo formale, del VOI banale, del TONO e del MESSAGGIO e dell’immagine del BRAND e l’unica cosa di cui io sono certo è: il direttore marketing ha terrore che tutto vada in malora e lui rimanga incastrato.
3) Il mio apporto come linguista si interrompe per qualche minuto, nel corso della telefonata mi trasformo in suo padre, lo rassicuro e gli faccio una proposta: basta chiamate in conferenza, fammi parlare e lavorare prima con l’agenzia inglese, poi prendo i miei testi e ne parlo io con l’agenzia web italiana, accolgo le loro richieste, poi facciamo leggere al copy italiano per un parere esterno e tu forte dei vari pareri coordini con il team interno.
4) Il direttore marketing ha un moto amoroso nei miei confronti. Io sinceramente non lo ricambio, ma sono contento.

STRATEGIA DI LAVORO E QUALCHE ASSO NELLA MANICA

Infine faccio quel che si deve fare:
1) Riscrivo i testi dell’agenzia britannica, avvio con loro uno scambio di email spiegando passo per passo il lavoro che sto facendo per trasmettere il loro messaggio, ma soprattutto sono politico e mi gioco due referenze personali, menzionando campagne andate a buon fine per clienti che conoscono.
2) Assumo un atteggiamento solo relativamente ruffiano verso l’agenzia web italica, gli spiego che sto tagliando i testi per facilitare il loro lavoro di web marketing. Gli mando campioni dei testi senza che me lo abbiano chiesto scegliendo quelli “più tagliati”. Questo fronte cerco di mantenerlo “stabile/accettabile”.
3) Chiamo il copywriter italiano che aveva fatto il mio nome in origine, gli racconto il tutto, lo faccio ridere, gli dico come penso di scrivere questi benedetti testi e gli chiedo due cose: di “dare un feedback” rassicurante sul mio lavoro al direttore marketing per farlo sentire più tutelato, e di aiutarmi se l’agenzia di web marketing italiana rompe. Il copy mi vuole bene, il copy sa, il copy accetta!
4) Chiamo il direttore marketing, gli spiego tutto e lo metto al corrente della vera verità (lettore, preparati ad altre banalità): il tono di voce coerente per tutti gli usi non esiste, è un’allegra panzana che si dice in riunione e noi continueremo a dirla per tenere buoni i suoi, ma all’atto pratico la nostra strategia si chiama “coerenza linguistica pragmatica”, è una definizione che non vuole dire niente in senso assoluto ma grosso modo significa fare concessioni di qua e di là nella misura che ci sarà richiesta.
[per far passare il concetto uso la solita parabola del mondo “anglosassone” e italiano che si osservano ma spesso non si capiscono, eventualmente si affascinano e fraintendono]

COSA SUCCEDE SE AIUTI UN UOMO

Succede che quella persona si sente incoraggiata e agisce. Ad esempio, il direttore marketing riprende il suo colorito, va in riunione (me lo racconterà dopo) e stabilisce che: Andrea farà certi lavori direttamente con noi (web marketing italiano), certi altri lavori li farà parlando direttamente con l’agenzia pubblicitaria nel Regno Unito (sito), tutti i lavori saranno comunque valutati dal nostro copy italiano storico che riguarderà con occhio distaccato e con attenzione per le esigenze di tutti.

IL PROGETTO È FINITO, ANDATE IN PACE

D’improvviso c’è silenzio, nessuno alza più la voce nelle chiamate in conferenza, si sentono dei mandolini in lontananza, io scrivo, il copy legge e il direttore marketing amministra testi diversi per referenti diversi. Mi preparo ad abbandonare la nave dopo che avrò ricevuto il pagamento dell’ultima fattura.
In definitiva: non c’è mai stato un reale problema di testi o di linguistica, c’è stato solo un problema organizzativo e di equilibri interni del cliente, troppa gente, troppi incarichi, il timore di sbagliare. Il mio apporto come traduttore è stato anche limitato, a dirla tutta, ho passato più tempo ad ascoltare che a scrivere, ho ovviamente scritto cose diverse per usi diversi ma tutto nell’ambito di una banale professionalità (insomma, ho fatto quello che chiunque di noi fa ogni giorno senza per forza doverci scrivere un articolo o post).

COSA MI PORTO A CASA DOPO QUESTA ESPERIENZA

A fine progetto mi son detto: Caro Andrea,
1) Se incontri di nuovo un cliente “indeciso” o scappi o prendi accordi chiari dal primo giorno, su prezzi, ore che gli dedicherai al telefono, tuoi compiti. Tuttavia, visto che l’esperienza già l’hai fatta, magari la prossima volta scappa. Quindi, ho imparato a scappare.
2) A questo punto, visto che per portare a casa il progetto hai dovuto usare capacità di ascolto, politica e compromesso, continua a fare qualcosa di simile anche per clienti meno incasinati come le agenzie, ne avrai vantaggi. Ho imparato a stare all’erta anche se un lavoro sembra “di per sé facile”.
3) Alla luce del casino che hai passato, cerca di averne almeno un vantaggio a livello di immagine, perché a livello di soldi è andata appena bene, quindi parla di questo tuo progetto, dagli risalto nel tuo profilo e, magari… arricchisci un po’ la storia e fanne un articolo per l’ATA 😉

Andrea Filippo Tuveri was born in Cagliari (Sardinia) where he is still based. He has a degree in cinema studies from Bologna University and started his career as a literary translator in 1996, moving on to corporate marketing and advertising in 2000. He became ATA Certified in the EN>IT language pair in 2003 and has over 20 years of experience in the profession. In 2009 he graduated as Personal and Business Coach, and has been offering coaching services regularly since then, while also keeping his translation business going.

aftuveri@gmail.com

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